LE CHIESE DELL’ALTOPIANO
L’Altopiano del Sole è una terra di spiritualità, di chiese e di edifici che conservano affreschi e ornamenti di grande interesse artistico ed architettonico.
BORNO
LA CHIESA PARROCCHIALE DI SAN GIOVANNI BATTISTA
La prima notizia documentata della chiesa parrocchiale di Borno risale a più di mille anni fa, agli inizi dell’XI secolo. In epoca medievale l’antica chiesa era intitolata a san Martino Vescovo. A metà del Quattrocento venne completamente ristrutturata, ma solo a metà del Settecento, dopo un adeguato rimaneggiamento, venne ampliata dalle mani del maestro architetto Girolamo Catteneo di Canè, ed impreziosita da nuovi affreschi. Da allora, si presenta così come la troviamo oggi, nella sua solennità.
L’ESTERNO
L’esterno è molto gradevole per la collocazione alla sommità del tempio e del verde presente ai lati della chiesa. Si noti il secolare ippocastano che con le sue ramaglie protegge tutti da tempeste e dal sole. Il campanile, più volte rimaneggiato e alzato, presenta un concerto di cinque campane fuse da A. Crespi e collocate nel 1825. Il sistema per il funzionamento è elettrico-manuale, anche per il suono ad “allegrezza”.
L’INTERNO
L’interno ad aula unica presenta un insieme gradevole e pregiato. Il primo altare di destra dedicato a San Giuseppe, in legno, mostra una tela di Lattanzio Querena, compiuta nel 1829 . Essa rappresenta i santi confessori Giuseppe, Gaetano da Thiene, Francesco d’Assisi e Rocco.
Il secondo altare di destra dedicato a Maria Regina del Santo Rosario, anch’esso in legno marmorizzato, presenta una statua dell’Ausiliatrice. Celebre e pregiato è il paliotto con statuette in rilievo di artigianato locale, attribuito allo Scultore di Nona in Val di Scalve, Giovanni Giuseppe Piccini. All’interno è inserita la statua del Cristo morto di opera Fantoniana del 1716. Nella parte superiore dell’altare è custodita la reliquia di San Vincenzo Martire.
PRESBITERIO, ALTARI E SAGRESTIA
Nel presbiterio campeggia sulla cantoria di destra il pregevole organo costruito nel 1875-77 dalla bottega dei Manzoni di Bergamo. L’altare maggiore è opera dello scultore Giacomo Novi eseguito nel 1794. L’ancona pregiata incastona la pala di Sante Cattaneo, raffigurante la Madonna con il Bambino e i Santi Giovanni Battista e Martino.
La sagrestia di grandi proporzioni è arricchita da mobili di fine cinquecento e di tele pregiate come una Natività e l’immacolata di Pietro Scalvini del Settecento.
Gli altari di sinistra simili a quelli a quelli di destra, sono divisi dal pulpito marmoreo realizzato nel 1939, presenta bassorilievi del Redentore e dei Santi Martino e Giovanni Battista. Il primo altare di sinistra custodisce una tela del Querena del 1829 raffigurante i Santi martiri Fabiano, Sebastiano, Lucia, Fermo e Rustico. L’ultima nicchia contiene il battistero, in pietra Simona è sormontato da sportello in segno lavorato e culminate con la scena del battesimo di Gesù.
LA MACCHINA DEL TRIDUO
Preziosa e ben custodita è la macchina del triduo dei defunti, opera pregiata, simile ad una grande scenografia composta da grandi pannelli in legno decorato e dipinto, insieme ad angeli e segni richiamanti i quattro Novissimi. L’apparato è allestito e utilizzato in occasione della preghiera per i defunti nei giorni del carnevale, prima della Quaresima.
Inoltre la chiesa di San Giovanni Battista custodisce reliquie, paramenti, accessori e opere secolari che dimostrano l’antica appartenenza del popolo di Borno alla fede cristiana tramandata dagli antenati fino ad oggi.
LA CHIESA DI SANT’ANTONIO DA PADOVA
Nella cornice splendida del sagrato e della piazza, sorge la chiesetta di Sant’Antonio, munita di portico databile nel XVIII secolo, la chiesa ha una struttura molto interessante dal punto di vista architettonico, infatti in passato era composta, molto probabilmente di due cappelle separate. All’interno si notano pregiati affreschi, la parte più antica di destra presenta decorazioni cinquecentesche e seicentesche con i Santi Martino, Pietro e Giovanni Battista. Nella parte di sinistra la lunetta affrescata da Callisto Piazza nel 1528, chiamata scientificamente sacra conversazione tra i Santi Rocco, Antonio, Giovanni e Martino e la Madonna con il Bambino. Una grande tela rappresenta l’evento tragico dell’incendio di Borno del 1688.
LA CHIESA DI SAN FERMO
Il complesso di San Fermo si erge a 1868 metri di altitudine. Nella tradizione camuna la figura di San Fermo viene fatta ricondurre a Carlo Magno e associata ai fratelli Glisente (sui monti di Berzo Inferiore) e Cristina (sui monti di Lozio). Erano eremiti e per mantenessi in contatto, come viene tramandato dalla tradizione, erano di frequente accendere dei fuochi per la loro segnalazione. La funzione di questi luoghi permetteva una salutare esperienza spirituale e un ricovero materiale a pastori e malgari che riempivano i pascoli durante la stagione del pascolo. La festa del santo il 9 agosto è molto apprezzata e partecipata dagli abitanti di Borno e dell’altopiano. La sera precedente si svolge una grande fiaccolata che si snoda lungo i sentieri montani e che giungere in paese dove i partecipanti ricevono l’attesa benedizione.
LA CHIESA DI SAN FIORINO
È luogo antico di devozione già in epoca Romana, la struttura attuale è databile introno al cinquecento. Dopo i restauri è venuto alla luce il nome di uno degli autori degli affreschi presenti, il Bornese Betinus de Rigoletis, datato 1504. La pala dell’altare, racchiusa entro una bella cornice, rappresenta la Madonna con il Bambino e i santi Fiorino e Giovannino del secolo XVII.
OSSIMO SUPERIORE
CHIESA PARROCCHIALE DEI SANTI GERVASIO E PROTASIO
Si distacca probabilmente, come Parrocchiale autonoma, dalla Pieve di Cividate nel XIV secolo. Per il Sina la chiesa sarebbe stata fondata dai monaci di Tours in base alla sua intitolazione.P. Gregorio nel 1698 scrive invece che quando fu costruita (o ampliata) fu distrutto quanto rimaneva dell’ antico castello.
L’INTERNO
Aula unica, spaziosa, costituita da due campate con volta a botte unghiata, intervallate da archi traversi, molto larghi, limitati da listelli o ghiere aggettate in corrispondenza delle sottostanti lesene. Queste, in stucco, con finta marmorizzazione gialla, sostengono l’ampio cornicione e racchiudono i due archi a pieno centro, dei due altari per lato, collocati nelle nicchie ricavate nello spessore delle pareti. I capitelli delle lesene hanno ricca decorazione composita in stucco bianco e dorato. Altrettanto ricca è la decorazione che si svolge su tutte le facce delle lesene, sui capitelli, nelle ghiere, nei sottarchi e nelle lunette dei quattro altari posti a lato.
STUCCHI E ORNAMENTI
Si tratta di stucchi, in parte dorati, di fine fattura tra il Sei e il Settecento ma di gusto ancora seicentesco. Pure a stucco è il medaglione che contorna il cartiglio sull’arco trionfale. Il presbiterio è di forma rettangolare, ampio, coperto da volta a botte; il coro è a tre lati di poligono, con volta a spicchi. La volta della navata, quella del presbiterio e quella del coro sono ricoperte da affreschi della fine del XIX secolo con medaglioni raffiguranti episodi della vita di Gesù. L’altare maggiore, pregevole, in marmo bianco macchiato di rosa, reca nel paliotto, entro cartiglio, ad altorilievo, il pellicano ( forse rifatto ). Di bella fattura anche il tabernacolo, con sportello adorno di calice in lamina dorata e argentata. La pala dell’altare maggiore è racchiusa in una soasa neoclassica, adorna di colonne scanalate, poste ai lati che sostengono un timpano triangolare. Il coro è adorno di tre edicolette architravate seicentesche, contornate da ricca cornice in marmo grigio venato di bianco, con alto architrave, con sportelli dipinti per le reliquie e gli olii santi.
CHIESA DI SANTA MARIA ADDOLORATA
Si trova sul sagrato a nord della Chiesa Parrocchiale, è di forma rettangolare con abside poligonale e facciata a doppio spiovente. Al centro vi è una porta architravata in pietra di Sarnico liscia, salvo semplici modanature, con timpano spezzato e al centro un vaso con fiamma. Al di sopra, è un ampio finestrone con arco ribassato, sotto al quale corre un listello che divide orizzontalmente la facciata. Interno ad una navata con volta a botte: una cornice sagomata e aggettata divide le pareti dalla volta, lungo tutta la chiesa. Due pilastrini separano la navata dal presbiterio, di forma pentagonale con volta a botte e con calotta a spicchi nella parte absidale.
È ricordata dal Faino nel 1658 come l’Oratorium Pro Disciplinis dipendente dalla Parrocchia.
Nella relazione del parroco del 1837 si legge: «…vi è l’oratorio della S.S. Addolorata vicino alla chiesa ove da un anno si celebra la Messa» e nella quale si radunano le ragazze della congregazione e i confratelli del S.S. Sacramento, in ore diverse, per le loro funzioni. Nella visita pastorale del Vescovo Verzeri (1889-90) l’Oratorio è chiamato «delle consorelle della Immacolata Concezione».
CHIESA DI SAN CARLO
È ricordata da B. Faino (1658) come «Oratorium S. Caroli in Colle» e dipendente dalla Parrocchiale di Ossimo Superiore. È documentata la storia difficile della sua erezione: da una lettera del Vicario foraneo di Breno, del 1617, al vescovo di Brescia risulta che la terra di Ossimo era stata sottoposta all’interdetto e sospesa già dall’ottobre del 1616 la costruzione della chiesa, perché gli abitanti volevano amministrare, per la costruzione di questo tempio i denari delle elemosine senza l’ intervento del rettore. La data del 1630 circa, dataci dal Sina, non è quindi esatta, a meno che la fine dei lavori non si sia protratta fino a quell’ anno.
DESCRIZIONE
Facciata estremamente semplice con tetto a capanna, con portale architravato. È arricchita da lesene tuscaniche e la sovrasta una lunetta a pieno centro con serraglia aggettata. Il tutto in pietra di Sarnico talmente corrosa per cui è del tutto illeggibile l’iscrizione a bei caratteri maiuscoli incisa sull’architrave. Un portale simile, ma più piccolo è sul lato sud, nel quale si aprono anche tre finestre rettangolari. La parete del fianco si conclude con semplice cornicione tondeggiante.
Nell’angolo nord-est è un campaniletto a vela. L’abside anche esternamente è poligonale. La chiesa è del XVII secolo. Appena dietro l’edificio era un grande faggio scomparso nel 1963. Interno ad una navata, di pianta rettangolare divisa in tre campate da lesene con alette applicate alle pareti che sostengono gli archi traversi e le volte a botte unghiate di ogni singola campata. L’interno, purtroppo, è stato tutto alterato da moderni, cattivi restauri sia di tinteggiatura di pareti e di lesene, sia di pavimento a “seminato”. Sparita la probabile balaustra, sparito pure l’antico altare a cui faceva da pala, sulla parete di fondo del coro, un affresco raffigurante una finta soasa dalle colonne con tralci di vite, architrave dorato con timpano semicircolare spezzato sul quale stanno due angeli che sostengono uno scudo sormontato da cappello cardinalizio.
OSSIMO INFERIORE
CHIESA DEI SANTI COSMA E DAMIANO
Una cappella della chiesa, probabilmente, doveva esistere fin dall’età dell’Alto Medioevo.
Per A. Sina sarebbe una cappella fondata dai monaci del monastero di Tours.
Secondo il Rizzi, ma tutto fa credere che abbia confuso con la Chiesa di Ossimo Superiore, sarebbe stata costruita sulle rovine di un castello.
Da qualche scrittore si è ritenuto che il primo documento che ci dà notizia della chiesa sia il decreto di papa Callisto III del 28 giugno 1456 con il quale istituiva due chiericati, abolendo i vecchi e cioè uno per i Santi Cosma e Damiano di Ossimo e uno per San Vittore; ma tale documento non si riferisce alla nostra chiesa, ma a quella di Piancogno presso l’Annunciata.
Nel 1670 si ha il rimodernamento dell’antica chiesa, mentre nel 1683 viene principiato il campanile che era a fianco dell’antico edificio; ma nel 1730 la chiesa viene ricostruita anche a seguito dei numerosi lasciti dovuti a vari benefattori. La fabbrica della chiesa è dovuta al capomastro Domenico Tettamanti di Milano. Nel 1733 lo stesso porta a termine la sagrestia.
INTERNO
Navata unica, coperta da volta a botte di cinque campate, divise da cinque archi traversi poggianti su lesene corinzie; delimitano queste, ai fianchi, gli archi delle tre cappelle poste sui lati, rettangolari, e della parete cieca in cui si apronole due porte laterali, originariamente forse profonde come le altre cappelle e poi murate con la formazione di un breve corridoio per il collegamento con le porte esterne. Le cappelle non molto profonde, sono coperte da volte a botte. Il raccordo fra la navata e il presbiterio è dato da due segmenti di parete posti in diagonale, su cui è, da un lato, l’organo con la cantoria in legno dalla finta marmorizzazione e cassa neoclassica, mentre sull’altro lato era il pulpito ( ora vi è la nicchia con una statua di San Luigi ). Al di sotto, le due porte: una per la sagrestia, l’altra per il campanile. Il presbiterio è basso, rettangolare, coperto da volta a vela e coro con terminazione orizzontale raccordata con elementi laterali ricurvi.
CHIESA DI SAN ROCCO
A questo Santo le nostre genti spesso si rivolgevano con un tenue filo di speranza allorché una qualsiasi calamità imperversava, e la dedicazione a San Rocco fa pensare che si tratti di una chiesa sorta nel XV secolo ( infatti prima della distruzione conteneva affreschi attribuiti alla scuola del Da Cemmo).
Nel 1876 fu dotata di un campanile e fu restaurata, ma successivamente la chiesa andò in disuso fino a che l’8 aprile 1945 venne completamente distrutta da una bomba caduta da aereo alleato. Fu ricostruita nel 1953 come risulta da iscrizione posta sull’arco trionfale. Facciata modesta, con lesene ai lati, semplice cornicione e timpano triangolare al di sopra; portale architravato con cornice in Botticino; al di sopra finestra con arco a pieno centro, ghiera a finti conci bugnati in malta. Modesto campaniletto sul lato sud. L’interno è a una navata di quattro campate, con lesene che sostengono archi traversi che dividono la volta a botte unghiata. Arco trionfale molto basso, che porta ad un piccolo coro, più basso, a terminazione orizzontale, pure con volta a botte unghiata. Nicchia dell’altare con statua di buona fattura di san Rocco in legno dipinto, del XVII secolo.
In fondo alla navata, confessionale seicentesco in legno, con lesene su cui è sovrapposto un ramo con fiori dorati come i capitelli corinzi e le mensole che fanno da serraglia agli archetti a pieno centro. Un architrave conclude il confessionale.
SANTELLE E CROCEFISSI
Le «santele» sparse per i viottoli e per gli erti sentieri di tutta la valle, sono per lo più piccole costruzioni ad una nicchia o cella, nel cui sfondo è dipinto il santo o la santa protettrice; non di rado vengono affrescati anche i muriccioli esterni della «santela». Queste piccole e primitive cappellette sono come un pensiero spirituale materializzato e i passanti depongono e offrono fiori raccolti nei prati e qualche obolo nell’apposita cassettina.
Particolare attenzione è da dedicare alle santelle di Pat, della Croce, delle Anime purganti, della Madonnina del ponte della Rocca e di Santa Eurosia ed anche al cimitero vecchio di Ossimo Inferiore.
Oltre alle «santele», un’altra espressione popolare religiosa si manifesta nei «crocefissi» e molti ve ne sono ancora, sparsi per tutta la valle.
I CROCEFISSI
È costruito, in genere, con assicelle ciò che forma la cornice, a figura romboidale ed è collocato al centro il crocefisso scolpito in legno; qualche volta tale scultura mostra una certa accuratezza o anche un pregevole lavoro d’intaglio, sovente però è un lavoro rozzo ma pur esprimente una rustica e profonda espressività. I crocefissi montani sono spesso semplici e poveri, ma hanno sempre il loro significato spirituale ed anche se scadenti o quasi abbandonati, troviamo ovunque che ignote mani depongono nel rustico «scatolòt» o appesi ad un chiodo un mazzo di fiori, umile pensiero di una preghiera. Non di rado crocefissi e santelle formano degli splendidi primi piani in vedute panoramiche, dimostrando con questi piccoli ma mirabili esempi ciò che sa dare il popolo quando esprime sinceramente il suo animo, il suo sentire profondamente umano. La fede si fonde con l’arte e la stessa natura. Il loro significato è puro, immune dai ripieghi artificiosi della civiltà, essi ricordano quasi le antiche are votive poste al cospetto dell’aperta natura, in quell’immenso tempio che è l’universo, il cui suolo è la terra e la volta è quella grandiosa del cielo.